RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
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Al dirigente Servizio Attività Commerciali e Rete Distributiva- Reg. Puglia
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Al Sindaco del Comune di Galatina
E a tutti gli Assessori e Consiglieri Comunali
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p.c. Al Presidente della Provincia di Lecce
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p.c. Al Dirigente Servizio Attività Produttive –Prov. Lecce
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p.c. Alla Procura della Repubblica di Lecce
Agli organi di Informazione
MEGACENTRO COMMERCIALE PANTACOM
OSSERVAZIONI SUI RISCHI DI INFILTRAZIONI MAFIOSE NEL TESSUTO SOCIOECONOMICO DEL TERRITORIO
PREMESSA
Partendo dall’allarme lanciato dalla Corte dei conti nel Novembre 2010 è impossibile che passi inosservato quanto sta accadendo anche nel nostro territorio.
La Corte, infatti, osserva che: ”Le attività economiche in cui la criminalità organizzata
investe con maggior frequenza si sono rivelate essere quelle edilizie, immobiliari,
commerciali e la grande distribuzione.
Il settore edilizio si presenta come il più aggredito poiché permette di investire e riciclare somme ingenti con una certa facilità; giacché la quantità di capitale fisiologicamente richiesta dalle imprese edilizie è molto elevata, la risposta che è adottata risiede nell’abbattimento del costo del personale, ricorrendo a caporalato e lavoro nero. L’infiltrazione della criminalità a ogni livello consente, altresì, di alterare le normali dinamiche competitive indirizzando in maniera forzosa le scelte dei committenti. Il campo immobiliare fa da sponda naturale agli investimenti nelle costruzioni, creando una rete che va dalla produzione alla vendita del bene; le organizzazioni criminali hanno sfruttato il periodo di profonda crisi dei mercati finanziari attaccando il settore immobiliare il quale, in questo periodo, ha rafforzato il suo ruolo di rifugio sicuro per gli investimenti. Il commercio permette alle organizzazioni criminali di operare in maniera più rapida e meno evidente: i proventi illeciti riciclabili in quest’ambito compaiono, in molti casi, inferiori rispetto agli stessi rilevati negli altri settori evidenziati; tuttavia, l’apertura di esercizi commerciali avviene spesso a nome di soggetti terzi compiacenti non immediatamente riconducibili ad esponenti della criminalità. La grande distribuzione consente di investire in noti franchising grandissime quantità di denaro, che diventa difficilmente rintracciabile e riconducibile alle mafie; i proventi illecitamente accumulati non sono utilizzati solamente nel comparto strettamente commerciale della grande distribuzione ma, anche, nella costruzione di centri commerciali e strutture affini. La criminalità organizzata, negli ultimi anni, ha sviluppato tecniche più raffinate relative all’occultamento dei beni, attraverso reti, spesso fittissime, di prestanome. Inoltre la malavita non investe solo nella propria terra di origine e, pur essendo il numero delle aziende confiscate al sud pari circa il quadruplo di quelle confiscate al nord, si rileva una tendenza crescente all’espansione dei propri interessi verso quest’area del paese e, ancor più, oltre confine..”
La relazione della Corte dei Conti evidenzia inoltre come l’attività edilizia, e il conseguente consumo di territorio, in Italia non sia dettata né dalla domanda del mercato né tantomeno dai reali bisogni della gente, bensì da pure esigenze speculative che spesso sconfinano nella criminalità.
E viene logico constatare come l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’attività edilizia e commerciale sia favorita anche da una scorretta progettazione urbanistica che si fondi su un modello di sviluppo incontrollato.
Roberto Scarpinato, Procuratore Generale di Palermo, afferma che il Sud è la Singapore del Mediterraneo dove i centri per la grande distribuzione sono diventati lavatrici del denaro sporco dei mafiosi, frutto delle estorsioni e del traffico di droga.
Provvedimenti come il cosiddetto “scudo fiscale” arrivano a proposito. Il mafioso che deve pulire tre milioni di euro, cosa fa? – dice ancora Scarpinato – Si autodenuncia dicendo di averli detenuti all’estero e li spaccia per evasione fiscale. Li fa rientrare in Italia e cerca un imprenditore compiacente che li investa in un centro commerciale (e pensate che non lo trovi, soprattutto in tempo di crisi e con la stretta creditizia delle banche?) Non si possono neanche chiedere i libri contabili. Il reato è stato sanato.
Il controllo di catene di supermercati e di centri commerciali fa sì che il potere mafioso sul territorio resti intatto e possa esprimersi nel modo più pervasivo. «Sia attraverso le assunzioni di personale fidato o raccomandato dagli “amici” – continua Scarpinato – sia attraverso le aziende produttrici ammesse alla rete di distribuzione soltanto se sono di proprietà di persone legate all’organizzazione e quindi escludendo tutte le altre. Si tratta di veri e propri monopoli mafiosi. Con il risultato finale di alterare e compromettere, insieme con le leggi dell’economia, la libertà e la trasparenza del mercato». Pur continuando Cosa Nostra ad occuparsi di racket del «pizzo», subappalti e tradizionali traffici illeciti, il business della grande distribuzione commerciale – gestito da prestanomi che, colpiti da «insolita fortuna», finiscono per essere comunque assorbiti dall’organizzazione mafiosa – con i suoi bilanci milionari di soldi «puliti» non a caso è appannaggio esclusivo dei vertici di Cosa Nostra.
Ed ecco un significativo stralcio di ECOMAFIA 2009 di Legambiente:
“Mafia al supermercato
Il nuovo affare per la mafia, al Sud come al Nord, oggi si chiama “grande distribuzione organizzata”. Un gioco semplice quanto altamente redditizio: basta acquistare un terreno a prezzi di mercato, costruirci un bel centro commerciale che ne quadruplica il valore e godersi senza troppa fatica gli utili. Una fila di registratori di cassa attraversati ogni giorno da un formidabile flusso di contante, dove insieme agli introiti delle attività commerciali passano anche i soldi delle attività mafiose, ovviamente per essere ripuliti. Vere e proprie “lavatrici di denaro sporco”, come le ha definite il procuratore aggiunto della procura antimafia di Palermo Roberto Scarpinato, commentando i risultati di una delle tante inchieste che hanno coinvolto il commercio all’ingrosso in Sicilia nell’ultimo anno.
E il forte interesse delle famiglie criminali per il settore è testimoniato dalle storie, dai numeri e dal valore economico dei sequestri disposti dalla magistratura. Un business che ha superato quello del traffico di stupefacenti e quello dell’edilizia. Perché costruire un ipermercato è sì un modo eccellente per riciclare denaro, ma è anche strategico per controllare il tessuto sociale ed economico e, allo stesso tempo, per conquistare interi pezzi di territorio. Questo avviene attraverso la lottizzazione delle aree, la gestione degli appalti edilizi, la scelta dei fornitori, la distribuzione di licenze commerciali e di posti di lavoro.
Se prima il rapporto con il mondo del commercio era basato sulla riscossione del pizzo, ora la mafia diventa imprenditrice, entra nei capitali e nella gestione di supermarket e centri commerciali con guadagni ben più significativi.”
La DIA del Veneto poi, ci dà un interessante dettaglio:
Camorra e mafia si farebbero largo nei centri commerciali, la ‘ndrangheta nei villaggi-outlet e grandi griffe. Il controllo dei centri commerciali consente di esercitare un grosso potere sui flussi di denaro, condizionando compratori, fornitori e investitori. “Il circuito della grande distribuzione rappresenta anche uno strumento per consolidare il potere illegale sul territorio attraverso l’offerta di impieghi nell’indotto lavorativo”, scrive la Dia, che parla di “un movimento silenzioso che non solleva allarmi sociali, assicurando, al contempo, ampi margini di profitto”.
Esaminiamo ora alcune “stranezze” rispetto a ciò che sembra inevitabile, viste le convergenze di tutte le forze politiche di maggioranza ed opposizione (a parte l’ininfluente no di R.C.).
In riferimento al procedimento di autorizzazione per area commerciale integrata no-food in contrada “Cascioni”, presentato dalla società Pantacom s.r.l. si osserva quanto segue:
1) La delibera di Giunta n. 122 del 21/04/2013, parte integrante dell’istanza, al pari della convenzione stipulata tra la Società proponete e il Comune di Galatina, parrebbe se non nulla, quantomeno non perfezionata, senza la necessaria delibera di Consiglio Comunale, un importante prerequisito, che dovrebbe essere previsto a monte del procedimento autorizzativo.
Nello specifico, al punto 4) della deliberazione e nelle parti ove si fa riferimento all’adozione, attraverso la Delibera di Giunta, delle indicazioni programmatiche integrative, previste nel progetto preliminare proposto, finalizzate al passaggio dell’area in argomento nella parte Operativa del PUG/P;
si rileva la non competenza della Giunta Comunale, nella materia che è di esclusiva spettanza del Consiglio Comunale, come previsto dal DECRETO LEGISLATIVO 18 agosto 2000, n. 267; Art.42; comma 2.; lettera b):
“b) programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie”;
2) L’intervento previsto al punto 4. dello schema di convezione, approvato nella succitata Delibera di Giunta, relativo al parco urbano attrezzato di 5 ettari (parte integrata nel progetto e cardine nella convenzione), con parcheggi, 2 campi di calcetto, uffici, servizi igienici, spogliatoi e impianto fotovoltaico da 10KW, non è compatibile con le norme vigenti previste nella pianificazione della zona E2, su cui ricade.
Le zone E2, in base all’analisi geo-morfologica ed agricola risultano di media sensibilità idrogeologica e ambientale, inoltre dovranno essere incentivati interventi di espansione delle aree a vigneto secondo quanto prescritto nel PTCP della provincia di Lecce.
Detta area è costituita da suoli agricoli ad altissima e qualificata produttività!!!!!
Per tali motivi, si evidenzia come tale convenzione sia aleatoria e inattuabile con la pianificazione e le norme vigenti.
3) L’area interessata oggetto della proposta, se pur apparentemente compatibile, ha delle importanti prescrizioni, dettate dalla D.G.R. n. 1416/2010 e della deliberazione G.P.n.143 del 04/06/010, recepite dal Consiglio Comunale di Galatina con Del. C.C. n.32/2010, che potrebbero condizionare nella sostanza i requisiti, di cui agli artt. 4 e 6, del R.R. del 28 aprile 2009, n. 7 e successive modifiche e integrazioni.
Si evidenzia, che un indispensabile studio di dettaglio è stato demandato alla pianificazione attuativa, che per tale motivo, assume un ruolo primario nello specifico procedimento.
Una puntuale e approfondita verifica della geomorfologia e dell’ATE C, ricadenti nella zona tipizzata D7 e individuate nel PUTT/p, potrebbe influenzare la corretta determinazione di superfici di vendita , di pertinenza e parcheggi.
Ecco perché si rende necessaria, l’esatta individuazione del ciglio di scarpata, posto a confine di due zone nella litologia del substrato e a nord est dell’insediamento in oggetto, con la determinazione e la tutela delle aree nell’ATE C, zone con valore distinguibile ambientale e paesaggistica.
Per tutto quanto sopra è evidente e necessaria una Valutazione di Impatto Ambientale, oltre alla procedura di autorizzazione paesaggistica, prevista nell’ ART.5.01 delle N.T.A. del PUTT/p nei limiti delle are ricadente nell’ATE C e interessate dal ciglio di scarpata.
Ora, vista quantomeno la superficialità con cui i nostri amministratori si adoperano a firmare convenzioni e rilasciare autorizzazioni, vorrei riproporre le “Domande da porci” pubblicate da Antonio Mellone nel gennaio scorso ed invitare tutti ad una riflessione, oltre alla consapevolezza che se per caso, questo “affare” dovesse rivelarsi un mero atto speculativo sul territorio, ciascuno degli attori che deciderà di optare per tale (a nostro parere) insana scelta, dovrà assumersi tutte le responsabilità: politiche e, ove vi fossero i presupposti, amministrative, civili e penali.
“Mega-parco: domande da porci (di Antonio Mellone)
Mai come in questo periodo, e a proposito di mega-parco, chi per indole e formazione è portato alla ricerca, non può non trovarsi di fronte ad alcune istanze e ad alcuni dubbi angosciosi che fanno spontaneamente sorgere altrettanti interrogativi.
Dando un’occhiata appena più attenta ad un semplice, banale, e pubblico prospetto Cerved (che è il documento base per analizzare le caratteristiche di un’impresa e che è l’abc essenziale, il minimo sindacale, diciamo, per valutare rapidamente l’affidabilità di un’azienda, conoscere la sua struttura e capire chi sono gli amministratori, i soci, e via di seguito) a proposito della Pantacom Srl – la società che sta pressando per il famoso “Protocollo d’intesa” con il nostro Comune (per la cementificazione del comparto D7 chiamata “riqualificazione” n.d.r.) – ci sono sorte spontanee alcune perplessità, che non possono che tradursi in alcune istanze o domande (che, per definizione non sono mai indiscrete, o stupide: al massimo lo sono le risposte).
Orbene, questa benedetta Pantacom srl, salvo errori od omissioni, sembra essere una SRL, società a responsabilità limitata, costituita nel 2001, con un capitale sociale interamente versato pari ad euro 35.000, avente quale oggetto “la progettazione, la costruzione, l’acquisto, la vendita, la gestione e la locazione attiva e passiva di centri commerciali […]”). E fin qui nulla quaestio.
Dando tuttavia un’occhiata più approfondita balza subito anche all’occhio addormentato il fatto che questa società sia “Inattiva”. Come mai? Dimenticanza? Si è in attesa di particolari autorizzazioni per la “dichiarazione di inizio di attività”? Strano. Osservando la frenesia con la quale si muove l’amministratore l’azienda “appare” attiva, attivissima. Come mai non lo è anche “di diritto”?
Ma questo è il minimo. Un’altra fonte di dubbio sta nel fatturato: sempre salvo errori, questo fatturato negli ultimi tre esercizi risulta essere pari a zero. Ed anche questo ci può stare. Un’azienda può anche esistere sulla carta, può pure essere inattiva, e può anche per tre anni consecutivi non aver venduto neppure uno spillo (ce ne faremmo una ragione). Ma a dirla tutta, non dovrebbe averne nemmeno comprati (di spilli) se nell’attivo dello stato patrimoniale, per tre anni consecutivi, almeno fino al bilancio del 31/12/2011 (di quello del 2012 non si sa ancora nulla, e non ci risulta, salvo errori, essere stato depositato presso gli uffici comunali) lo zero assoluto la fa da padrone sia tra le rimanenze, sia tra le immobilizzazioni materiali e, giacché ci siamo, anche tra le attività finanziarie. Zero spaccato. Nulla di nulla. Di terreni (ma nemmeno di spilli) nello stato patrimoniale della Pantacom, almeno fino a fine 2011 nemmeno l’ombra. E qui l’n-esima domanda sorge in automatico: i nostri amministratori, i tecnici del Comune, e tutti i paladini di Francia, si sono posti il problema su chi sia il loro interlocutore, nella fattispecie la Pantacom? Qual è la sua consistenza? E quale il suo peso specifico? Che garanzie potrebbe darci una società che si presenta in questo stato? Si son fatti rilasciare una fideiussione bancaria o assicurativa? O almeno uno straccio di bilancio prima di aprir bocca? Hanno richiesto una visura alla Camera di Commercio per avere qualche dato in più sulla Pantacom srl? O è sufficiente che una società qualsiasi, pur “inattiva”, presenti “istanze urgenti” perché si convochi in tutta fretta un consiglio comunale straordinario e ad hoc?
Ma continuiamo nella disamina dei dati di questo prospetto Cerved (che evidenzia, tra l’altro, anche alcuni dati di bilancio). E veniamo al patrimonio netto, anzi per la precisione al capitale sociale della SRL. E qui, sempre con riferimento agli ultimi aggiornamenti disponibili, e cioè al bilancio chiuso al 31/12/2011, risulta lampante il fatto che il capitale netto della limitata risulta essere pari a 3000. Sì, avete letto bene: 3000 euro. Come mai? Risposta: il capitale sociale di 35.000 euro si è ridotto per perdite a soli 3.000 euro. Siamo al di sotto del minimo legale stabilito per legge in 10.000 euro.
Dunque, ricapitolando – come dice la Gabanelli di Report – siamo di fronte ad una società a responsabilità limitata il cui capitale sociale è al di sotto del limite di legge. E a quanto appare l’amministratore non ha “senza indugio” convocato l’assemblea per riportarlo a livello prescritto, né invero, in caso contrario come previsto dalle norme, ha provveduto a mettere in liquidazione la società, né gli è saltato in mente di trasformarla in società di persone.
Dunque la società risulterebbe “inattiva”. Ma se anche fosse stata “attiva” vista la situazione del suo patrimonio netto, visto che nessuno dei soci ha per ora messo mano al portafogli per reintegrare il capitale, si sarebbe dovuta trasformare e “senza indugio” da “società di capitali” in “società di persone”, o quanto meno sciogliersi. La nostra Pantacom srl sembra essere una società liquida sì, ma forse nel senso dello scioglimento.
Ma c’è dell’altro. Che garanzie occupazionali una società così fragile dal punto di vista commerciale, patrimoniale e finanziario può darci? Come mai un’azienda come questa, pronta a combattere la disoccupazione dando lavoro a 300 persone, non ha nemmeno un dipendente (il “numero di dipendenti medi” – dato tratto sempre dal bilancio è, anche questo ahinoi, pari a zero)? Manco un ragioniere gli è stato consentito di assumere? Possiamo noi consolarci con i 300 nuovi posti di lavoro prossimi venturi?
Ed infine la compagine sociale: ebbene sì, anche questo ci racconta un prospetto Cerved. Chi sono i soci di questa Pantacom srl? Ma come, non lo sapete? E’ la famiglia di Paolo Perrone, il sindaco di Lecce (incluso il sindaco, s’intende). Non stiamo scoprendo l’acqua calda, questi sono dati pubblici, non il quarto segreto di Fatima. Ma questo dato era noto ai cittadini di Galatina?
Avrei altri dubbi e tante altre istanze da sottoporre a molti galatinesi, collemetesi e soprattutto ai miei rappresentanti politici che a stragrande maggioranza, in maniera bipartisan, sembrano propensi a dir di sì al mega-parco. Persone e personaggi che, a volte, vedendoti nei pressi del tavolino della raccolta delle firme contro il cemento, guardandoti come fossi un marziano, sembrano commiserarti, e dai loro sguardi sembrano volerti chiedere: ma cosa ci guadagni tu a cercare di cambiare le cose?
Talvolta mi chiedo, davvero, chi me lo faccia fare di continuare nelle mie lotte e di interrogarmi su queste e mille altre faccende; e tra le tante ottime ragioni c’è quella di non diventare come loro.”
Quanto sopra per le competenze che il caso richiede.
F.to Anita Rossetti
(in nome e per conto delle Reti e Associazioni in calce specificate)
Galatina, 06/07/2013
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Galatina Libera dal Cemento, Comitato Civico per la tutela del Territorio e del Paesaggio
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