Ormai è un luogo comune, accettato acriticamente, che per uscire dalla crisi l’economia deve crescere cioè devono aumentare la produzione e i consumi.
Le politiche economiche dell’ottocento e del novecento si sono basate tutte sulla crescita e sullo sviluppo. La dottrina economica dominante agli inizi del novecento era quella liberista secondo cui era l’offerta a generare la domanda e prevedeva il non intervento dello stato nell’economia, quindi produzioni sempre maggiori e a minor prezzo che avrebbero incrementato i consumi.
La teoria liberista non regge alla crisi del 1929 da cui si esce con le teorie keynesiane per le quali è la domanda che stimola la produzione ed è necessario il sostegno dello Stato ai consumi tramite l’incremento della spesa pubblica. Questo ha garantito per molti decenni consumi diffusi, occupazione e produzione.
Dottrine diverse ma accomunate dall’idea che i consumi debbano crescere all’infinito pena il crollo dell’economia. Questa teoria dei consumi entra a tal punto nelle pieghe della società che il cittadino attualmente è chiamato comunemente “consumatore” e ognuno di noi, più o meno, crede che la propria felicità passi attraverso la capacità di svuotare gli scaffali dei negozi.